Dissolvenze&rallentamenti: appunti su Pallbearer, Earth e Sunn o)))+Scott Walker

17 Oct

di T/T

Universo sfaccettato e stratificato oramai il metal dopo aver superato indenne la prima decade del nuovo millennio si presenta come uno dei “generi” più vivi e dinamici, in continua e perenne mutazione ed evoluzione, tanto da farlo somigliare grazie ad una complessa e disarmante tassonomia a quello che fu il jazz prima che si deflagrasse nella maniera post-davisiana, capace di rendere macchietta anche le avanguardie più estreme. In realtà, è un fenomeno relativamente recente quello che ha investito il metal di attenzione dai cultori tout court di musica. Da genere detestabile, accusato di machismo, razzismo e di ottusa venerazione verso la velocità e il virtuosismo, il metal è diventato un territorio da colonizzare e tematizzare, cercando di capire le diverse storie che si intrecciano al di là degli archetipi e dei soliti luoghi comuni.

Prima che il noise rendesse la texture e l’accumulo nevrastenico del suono materico e solido, il metal ci era arrivato anni prima in maniera autonoma e totalmente in linea con lo spirito atavico del r’n’r. Nessuna preliminare infatuazione per il concetto, ma una autentica propulsione verso la natura più primitiva e fisica del suono. L’infatuazione del pubblico “generalista” verso il metal sopraggiunse quando il sonno dogmatico dei reducisti del post-punk si infranse dinanzi ad evidenti analogie. Scrive Simon Reynolds:<<La riemersione del rispetto/ardore hipster per il metal da un po’ di anni a questa parte è un fenomeno interessante: …ricordo almeno un paio di fasi…in cui gli hipster si risvegliarono come d’incanto e iniziarono a prestare attenzione al genere. Quanto alla prima, io e miei colleghi di Melody Maker contribuimmo alla riabilitazione. La Arsequake League, come ci chiamavamo, era sensibile agli sviluppi interni al metal anni ottanta: il nuovo vigore/severità di gruppi come Metallica, Anthrax, Megadeth e Voivod, accompagnato dall’abbandono (o ridimensionamento) degli aspetti più sciocchi del genere. Influenzate dal punk e dai Motorhead, queste formazioni rappresentavano una sorta di Riforma Protestante del genere. […] Più che legittimare il metal…questi gruppi resero la prossimità talmente palpabile da costringerci ad abbandonare i pregiudizi>>. [1]

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A questa prima ondata, ancora legata ad una sorta di purezza punk, sopraggiunse un’altra molto più ampia e trasversale soprattutto nella prima metà degli anni zero, che esorcizzò ogni possibile resistenza, generando grazie all’eclettica formazione dei musicisti “metal” una miriade di generi e sotto-generi, che ingurgitavano ogni possibile influenza e stimolo. Superata quella falsa rivoluzione che fu il nu-metal. degenerata in maniera dopo aver prodotto nei primi anni novanta i classici del genere, il metal è giunto ad un zone di <<ulteriorità>> in cui generi distanti come lo shoegaze e l’ambient hanno trovato una loro nuova ridefinizione e soluzione grazie all’eversione metal.

Il blackgaze [2], il transcendental-black-metal, il drone-metal (come ulteriorità dell’ambient: da Jesu ai Nadja, passando per Pyramids e i veterani Sunn o)))), il depressive black metal, il doom nelle sue forme più oltranziste, lo stoner massimalista finanche quello più lisergico, lo psycho-prog à la Lesbian, il death metal più estremo di formazioni come i Mitochondrian o i Portal e la forma parodistica e post-moderna degli ex-hardcorer Protest the Hero, sono tutte fenomeni di eversione del metal che non sempre i puristi accettano, ma che senza dubbio hanno reso il metal l’unica zona di avanguardia e di lotta alla retrologia (sebbene non ne sia del tutto immune).

In questo difficile coacervo, molto spesso la zona che vede collimare doom, drone e ambient è quella che ha esaurito un po’ la spinta, ma si è distinta in quanto a consapevolezza e teorizzazione generando tra le realtà più durature ed influenti. Questa doverosa promessa è utile a comprendere il trittico di gruppi di cui parleremo.

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I Pallbearer sono una formazione proveniente dall’Arkansas e che propongono un doom melodico e legato alla basi tradizional del genere (Candlemass, St.Vitus etc etc), in realtà la loro musica è totalmente debitrice di un’oscura formazione inglese attiva tra i tardi anni novanta e i primi anni zero, i Warning di Patrick Walker (poi 40 Watt Sun). Le lunghe divagazioni esistenziali fatte di dissolvenze e rallentamenti di Watching from a Distance (Miskatonic, 2006; Kreation, 2012) sono la base su cui il quartetto americano costruisce le lunghe suite che ne hanno decretato il successo. Sorrow and Extiction (Profound Lore, 2012) e Foundations of Burden (Profound Lore, 2014) si muovono per l’appunto su quella falsariga: accumulo estenuante di riffoni doom e aperture melodiche con squarci e code che determinano un climax crescente e una catarsi emotiva. I Pallbearer sono una band tributaria: con una dedizione quasi calligrafica mettono insieme in maniera geometrica archetipiche costruzioni sonore: pure cattedrali che abbacinano l’udito con la tessitura granitica del loro suono e la luminosità improvvisa delle loro anthemiche melodie. L’accusa con cui vengono liquidati dei puristi è l’estrema lentezza delle loro composizioni prive di quelle accelerazioni a cui tutti coloro che praticano il doom non possono sottrarsi in omaggio ai grandi padri, i.e. i Black Sabbath.

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Gli Earth, invece, tra le più influenti band del drone-metal, ritornano con un album che rimescola totalmente le carte in tavola. 2 e Hex, pietre miliari del genere, sono ormai alle spalle e pur conservando un minutaggio che fiaccherebbe molti, il terzetto di Olympia capitanato da Dylan Carlson, ha deciso di rivolgersi fermo la forma canzone, introducendo la presenza della voce nelle loro lunghe suite. Primitive and Deadly (Southern Lord, 2014) si avvale della collaborazione di Mark Lanegan (abbastanza fuori traccia, a dir la verità) e di Rabia Shaheen Qazi, rispettivamente in There is a Serpent Coming e in From the Zodiacal Light. Dismesse le tessiture lisergiche e cosmiche che ne hanno decretato la grandezza, questo nuovo lavoro sembra veramente voler ritornare alla grammatica fondamentale del doom, mettendo insieme la lentezza granitica dei St.Vitus con voci ammiccanti, ma che purtroppo diventano elementi alieni al sound della band. Il deserto sonico degli Earth è tale perché non contempla presenza umana. Stop.

E poi il caso sensazionale di questo ultimo trimestre del 2014: l’incontro/scontro tra i veterani del drone i Sunn O))) e Scott Walker. Da un lato il presenzialista Stephen O’Malley, dall’altro il campione dell’assenza Scott Walker. Due attitudini diverse del fare e del vivere la musica che si incontrano in un <<disco mostro>> che segue da vicino la parabola critica del cantautore americano. Tra Tilt e The Drift intercorre quasi un decennio, un lungo decennio in cui gli ascoltatori hanno avuto tutto il tempo di riprendersi dallo shock sonico a cui li ha sottoposti il nostro. Nel 2012 Bisch Bosch chiudeva il cerchio, portando a compimento una fantomatica trilogia e ridefinendo per i posteri la figura di Walker in maniera definitoria. I Sunn o))) ormai abituati a meticciare il loro sound al rumor bianco, cercando patner probabili (vedi collaborazione con gli Ulver sempre datata 2014) questa volta si affidano ad una personalità relativamente distante per tentare un’operazione ambigua. Soused (4AD, 2014) è un monolite enigmatico.

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Non aggiunge nulla a quanto detto da entrambi: le salmodie baritonali di Walker si adagiano sui soliti droni ambientali di O’Malley, che si riscatta seguendo e mimando le impennate melodrammatiche della stessa, come in Brando, con una chitarra appuntita e sottile come solo quella di Robert Fripp. I toni marziali di Herod 2014 si sposano con le solite tematiche walkeriane sui totalitarismi  e la brutalità umana. Bull è subito violenza e strepiti, con una ritmica metallica e che fa sperare per un attimo che questa patnership possa lasciare il segno. I Sunn o))) vagano negli interstizi, cercando di utilizzare i loro lacerti dronici: la lunga coda che incupisce la già citata Bull non è economica: un aggravio di minutaggio che stempera e fa dimenticare il dramma. Fetish, a sorpresa, è uno dei pochi brani che mette insieme in maniera funzionale i pezzi del puzzle: i droni non sono materiale di risulta e si intrecciano con i crepiti ritmici, che richiamano alla mente la decadenza mitteleuropea degli Einstürzende Neubauten di Hospitalische Kinder / Engel Der VernichtungChiude il tutto Lullaby, brano scritto da Walker per Ute Lemper.

Ad un primo ascolto, la collaborazione tra i padrini del drone e uno dei compositori più sfuggenti ed enigmatici di sempre si rivela poca roba, non aggiungendo nulla alla poetica – se di poetica di può parlare – di entrambi. I tempi di realizzazione stretti forse hanno influito sulla composizione che sembra adagiarsi senza guizzi di improvvisa creatività. Tutti i brani potrebbero sembrare delle outtakes dei lavori di Scott Walker e questo la dice lunga sul peso che la band di Stephen O’Malley abbia avuto nella realizzazione.

Soused è un album su cui ritornare a mente fredda, dopo che la sbornia celebrativa e le aspettative si saranno diradate e si potrò apprezzare indipendentemente da tutto: dall’esaurirsi del riverbero dei droni fuzzati dei Sunn o))) e dallo spettro della voce di Walker, qua apparentemente reso maschera e attore.

Detto ciò non ci resta che constatare al di là dell’alta e indubbia qualità che questi tre lavori di cui abbiamo parlato non aggiungono nulla e mostrano una situazione stagnante e quasi di estrema risulta: non sarà che anche l’hipster metal abbia esaurito la sua spinta innovativa? Aspettiamo fiduciosi nuovi ibridi.

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[1] Simon Reynold, Hip-hop-rock, Isbn Edizioni, Milano 2008, p.410.

[2] Territorio tra i più problematici, soprattutto a causa dell’osmosi e della palese non appartenenza dei gruppi più interstiziali al metal in senso proprio. Ad esempio, i tanto osannati Deafheaven, il cui chitarrista Nick Bassett è anche membro dei Whirr, gruppo dream-pop/shoegaze, che ha enfatizzato i toni più duri nell’ultimo lavoro, evidenziando apparentemente la parentela tra i generi, ma in realtà mostrando come i primi siano al di là del metal, o ancora – caso limite per eccellenza – il side-project di Drew Daniel dei Matmos, The Soft Pink Truth, una ri-lettura dei classici black metal filtrati attraverso l’estetica elettronica con un chiaro intento di decostruzione e di smarcamento trans-gender.

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