Xylouris White – Goats (Other Music, 2014)

20 Oct

di T/T

George Xylouris e Jim White. Liuto e batteria. Grecità e cosmopolitismo post-rock da estrema provincia dell’impero. Un incontro inconsueto quello tra i due musicisti, il primo cretese, proveniente da una tradizione familiare, incentrata sullo studio e la conversazione di un repertorio legato al syrtos e alle sue varianti, il secondo, batterista australiano e legato al progetto Dirty Three, formazione post-rock capitanata da quel genio barbuto che risponde al nome di Warren Ellis, nel mentre decine di collaborazioni. A detta di chi scrive, uno dei migliori batteristi mai visti dal vivo, impeccabile, potente e di un gusto senza eguali.

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La collaborazione tra i due potrebbe ricordare quella tra Jozef Van Wissem e Jim Jarmusch. Un liuto a 13 cori, detto “a collo di cigno” che dialogava in un’estenuante massacro minimalista con i feedback dissonanti della chitarra di Jarmusch: un incontro improbabile anacronistico e inspiegabile, che si poneva fuori dal tempo in un’attesa escatologica.

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Il duo Xylouris/White con  Goats, pubblicato dall’etichetta Other Music Recordings di New York, si muovono su un terreno più classico, ma altrettanto impervio. La distanza quasi temporale tra i due sembra annullarsi e la fisiognomica li rende fratelli al di là di tutto. Il liutista cretese, nipote dell’Arcangelo di Creta Nikos Xylouri e figlio di Psarandonis (Antonis Xylouris), che già a sua volta allargò e rivoluzionò i confini della musica greca, percuote ritmicamente le otto corde del suo liuto, generando un flusso continuo di fraseggi, bordoni e aperture melodiche che trasfigurano la matrice tradizionale in un linguaggio pan-mediterraneo: una luminosità fatta di bianchi e accecanti celesti, che pur attingendo al syrtos dialogano con il rebetiko per violenza e determinazione. Jim White sembrerebbe assumere, pertanto, il ruolo di accompagnatore, ed invece il suo drumming è sfuggente, mutante, asseconda ogni singola sterzata delle corde di Xylouris, dialogando e rendendo la grana del tutto più dura e aspra come nell’ansietà crescente di Chicken Song.

La world-music imbastardita del duo proietta la musicalità greca in un orizzonte inedito che attraversa jazz, punk, impro e folk in un congegno che oscilla fra lo spazio e il tempo, messo a fuoco dalla produzione di Guy Picciotto. Il musicista ha spinto il virtuosismo di Xylouris in un territorio totalmente inedito. Goats è un specie di “tenero” parricidio: nessuna esecuzione violenta, ma l’inedita rilettura del Syrtos, un omaggio senza dubbio, ma anche una potente cesura con la precettistica paterna. Ma, Goats, la cui tessitura musicale è al contempo colta e caprina (forse anche diabolica) è stato una sfida anche per Picciotto. <<Provenendo da punk, il virtuosismo è irrilevante, per quanto mi riguarda. E’ stato sempre qualcosa come, “hai qualcosa da dire? stai cercando di dire qualcosa di nuovo, stai spingendo il discorso molto più avanti, stai rompendo le barriere del genere? che cosa stai facendo?”. Avere tutti questi elementi insieme al virtuosismo è interessante per me. George sta vivendo la sua musica ad un livello più intenso…Io sono solo un chitarrista dilettante, ma George suona tutti i giorni, tutte le notti. Suona mentre dorme, le sue dita si muovono mentre sta dormendo>>.[1]

Il liuto post-punk di Xylouris e la batteria nervosa e imprevedibile di White disegnano un luogo possibile della world music: un luogo cosmopolita che attraversa i deserti dell’Australia, si muove nella folla di Melbourne senza perdere i colori intensi del Mediterraneo per ritrovarsi tra le strade di New York ad imbastire una musica “violenta” e tenue sino alle prime luci dell’alba.

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[1] http://www.newyorker.com/culture/sarah-larson/post-punk-lute

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