Nostalgia Canaglia

4 Dec

di F/M

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Non sono mai stato un grandissimo fan della band di Paul Banks, e a torto o ragione non mi sono mai stati simpatici in virtù proprio del loro essere una copia carbone di gruppi inglesi che erano un tutt’uno con la musica che suonavano, sino al parossismo: sino alla conclamata e mortale patologia (mi riferisco alla vittima simbolica Ian Curtis. Ogni generazione ha il suo martire che si immola per sancire l’eternità di una “scoperta” musicale).

Il primo decennio del nuovo secolo si apriva con un salto indietro nel tempo: l’aver eluso il millennium bug, il limite apocalittico, e l’aver scoperto che la fine dei giorni altro non era che una pallida quotidianità, ci aveva convinto che il futuro non poteva che consistere che in un accumulo ossessivo di tutto ciò che c’era di catalogabile e in un lavoro filologico di recupero delle forme passate – ma ancora prossime e tutt’altro che dimenticate – di artisticità.

Neanche una botta tremenda come l’11 settembre aveva ridestato la creatività: anzi forse aveva aggravato il tutto. Come superare qualcosa di così immensamente magniloquente?!? La nuova Roma capitolava e l’unico atto possibile era accettare di essere in un epoca che fondeva un sentire da tardo-impero e la speranza di una nuova epoca merovingia.

Oggi si celebra il decennale di un album che è il simbolo dei nostri tempi: la riedizione di un gruppo “inutile” come gli Interpol. Ci sarebbe molta roba da ristampare edita nell’82 e che oggi compie 30 anni. Mentre, ci troviamo a vezzeggiare l’opera di un gruppo che nel frattempo si è perso, che non ha mai avuto nulla da dire se non che trent’anni prima c’era stata una rivoluzione così potente che poteva ora essere impacchettata in un bel taglio di capelli e una giacca nera: un po’ come il Blixa Bargeld in andropausa degli ultimi anni [con un panciotto prossimo all’esplosione che mi fece desistere da avvicinarmi al palco].

E’ opportuno celebrare il decennale di un album come Turn on the Bright Lights?!? No, o forse sì, come monito alla nostra incapacità di coniare un nuovo linguaggio o almeno qualcosa che vi assomigli. 

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